LE MENZOGNE
A MIGLIAIA RIFIUTARONO LA RESA Erano
i volontari che, prima della fondazione della Repubblica sociale italiana,
decisero autonomamente di battersi al fianco dei camerati germanici su
tutti i fronti.
Adriano Bolzoni
Comincerò col ricordare che gli uomini in
armi nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana, giovani o veterani
con più anni di guerra, volontari o delle leve del 1924-25, furono
tanto numerosi da rendere perplesso e quasi incredulo, pur conoscendo la
realtà, anche chi scrive.
Tutte le volte che, per non importa quale ragione,
si ripresenta l'argomento, vale a dire la consistenza, la sostanza, la
natura ed i caratteri dell'esercito della Rsi, ebbene, sono il primo a
riconoscere che il fenomeno militare repubblicano ha veramente dell'incredibile.
Eppure, come inviato di guerra, come giornalista combattente, in totale
autonomia e libertà, in possesso degli accrediti necessari dei comandi
italiani e della Wehrmacht, ho svolto i miei compiti dall'ottobre del 1943
all’aprile del 1945. Intendo dalla Gustav alla Gotica, dalla piana del
Liri a Cassino, da Anzio a Nettuno sino alla Garfagnana, dal Senio al confine
alpino francese, dal litorale adriatico alla Venezia Giulia, sino alla
fine della campagna d’Italia.
Trascuro i dati forniti dal generale Emilio Canevari
(che del nuovo esercito della Rsi fu uno dei creatori), contenuti anche
nel "Rapporto Graziani", dove si fornisce la cifra di 780.000
uomini, però includendo circa 260.000 militarizzati. E’ invece scrupolosamente
documentata, nella primavera del 1944, una forza di
327.000 uomini nelle diverse unità. Questo,
volendo escludere dal computo i circa 150.000 uomini incorporati nella
Guardia Nazionale Repubblicana.
Si voleva creare un esercito repubblicano nazionale
chiaramente apolitico; si scartò l'idea che questo esercito fosse
composto di soli volontari, mantenendo la leva perché il concorso
alla difesa avesse carattere nazionale e popolare.
Solo il 28 ottobre del 1943, ben cinquanta giorni
dopo l'8 settembre (e cinquanta giorni in quel precipitare di avvenimenti
significarono molto ed ebbero un gran peso) il governo della Rsi emise
due decreti-legge: il primo stabiliva lo scioglimento delle forze armate
regie e la creazione di quelle repubblicane; il secondo dettava la legge
fondamentale del nuovo esercito repubblicano.
E’ bene, per meglio valutare il vero miracolo della
Rsi - la creazione di un esercito, mai dimenticando che (è anche
il parere di chi scrive) fu il fenomeno militare-combattente della Rsi
a nutrire la Repubblica Sociale -, considerare gli avvenimenti di quel
periodo. L'8 settembre del 1943, dopo l'accettazione di un "armistizio"
che si traduce istantaneamente nella resa senza condizioni al nemico e
nel dissolvimento dell'esercito con la fuga del re, della corte e dei responsabili
delle forze armate, è il caos generale. Il 9 settembre, gli Alleati
sbarcano in forze a Salerno, il giorno 1 ottobre entrano a Napoli.
Le forze armate della RSI nasceranno, s'è
detto, il 28 ottobre. Solo più tardi, dopo un nuovo sbarco degli
Alleati ad Anzio, il 22 gennaio 1944, esse avranno capacità operativa,
mobilità e consistenza. E intanto? Intanto e da subito, in pratica
dal 9 settembre 1943, un numero stupefacente di italiani - in uniforme,
in armi, bandiera tricolore alle spalle senza lo scudo sabaudo - continua
a battersi, non accetta la resa. Non aspetta la liberazione di Mussolini
dalla prigionia sul Gran Sasso, non aspetta la creazione della Repubblica
Sociale Italiana, non aspetta la fondazione del nuovo esercito repubblicano.
I comandanti, gli equipaggi ed il personale dei
servizi dei nostri sommergibili nelle basi francesi - battelli che operavano
nell’Atlantico - non abbandonano il campo che li ha visti, per lunghi,
durissimi anni di sacrifici e vittoriose imprese, a fianco di leali e in
molti casi fraterni camerati di terra, uniti dall'identico destino del
combattere in mare contro un nemico strapotente. Questo, per molte ragioni,
può apparire piuttosto comprensibile. Altrettanto comprensibile
può apparire l’immediato affiancarsi alla Wehrmacht
degli uomini dei nostri battaglioni del genio (nebbiogeni), dislocati nel
Baltico e dei reparti di specialisti di stanza in Germania. Si trattava
di circa 22.000 effettivi. Il loro comportamento prima e dopo l'8 settembre
fu tale, nell'adempimento del servizio, da non suscitare mai il minimo
dubbio dei comandi tedeschi riguardo alla loro lealtà ed efficienza.
Combattenti italiani presenti in Germania o nella
Francia occupata dalla Wehrmacht, si dirà, quindi la loro decisione
di continuare a battersi a fianco delle forze tedesche poteva derivare
dalla scelta di un male minore. Non è irragionevole pensarlo, con
l'esclusione dei comandanti e degli equipaggi dei nostri gloriosissimi
sommergibili atlantici, che davvero il disonore dell'8 settembre rifiutarono
consapevolmente e senza esitazioni. Ma quel che accadde in Italia, sino
alla creazione dell'esercito della Rsi, a cominciare dalle prime ore dopo
l'annuncio dell’”armistizio”, quindi dell'accettazione della resa e del
repentino miserabile capovolgimento delle alleanze, con l'amico che diventa
nemico e viceversa, testimonia per la Storia e la stessa salute dei combattenti
italiani, per una non trascurabile parte di loro, almeno la ragione prima
e profonda del rifiuto dell’armistizio.
- Il Maresciallo di Italia Rodolfo Graziani fu
tra i primissimi a prendere posizione per la ripresa della lotta e il rispetto
dell'alleanza
- Reparti di allievi ufficiai della Guardia Nazionale
Repubblicana, alle dipendenze di Renato Ricci, schierati nel cortile di
una caserma
Il caso, peraltro clamoroso e universalmente oggi
conosciuto, dell’immediato costituirsi nelle strutture di San Bartolomeo,
a La Spezia, di una unità di fanteria di marina, che poi divenne
addirittura la Divisione "Decima" con i suoi battaglioni, raccogliendo
poi anche gli equipaggi di natanti e mezzi d'assalto, è certo il
più famoso, ma non il solo. Diffusasi la voce che la "Decima"
inquadrava ed arruolava combattenti, sotto bandiera e comando italiani,
un flusso sempre crescente di giovani volontari e militari di ogni arma
e grado sommerse le strutture della Marina a La Spezia, sin dal 9 settembre,
agli ordini del comandante Junio Valerio Borghese.
La Wehrmacht, impegnata nella strenua battaglia
di contenimento a Salerno e nel controllo essenziale delle maggiori vie
di comunicazione della Penisola (l'esercito regio s'era già dissolto),
non aveva né intenzione né interesse ad affrontare uno scontro
con dei reparti formati da combattenti decisi a battersi, all'ombra della
bandiera nazionale, rifiutando l’armistizio. Quando il 17 ottobre venne
costituita la Repubblica Sociale Italiana, già da lunghi giorni
la "Decima" si trovava a tentare di risolvere problemi impossibili:
come inquadrare, vestire, nutrire, armare e organizzare un numero esorbitante
di volontari.
Sempre immediatamente dopo la proclamazione dell'armistizio,
nelle tragiche, sconvolgenti e miserabili ore del "tutti a casa",
forti reparti della "Nembo" e della "Folgore, paracadutisti
già misuratisi in combattimenti davvero eroici, anche per riconoscimento
del nemico, rimasero in campo. Non meno di 4.000 uomini. E non meno di
60.000 combattenti, veterani di guerra e giovani volontari, si aggregarono
(là dove le operazioni li avevano visti affiancare le unità
della Wehrmacht) ai reparti tedeschi. Ci volle del bello e del buono, ci
vollero trattative condotte anche a muso duro, quando si costituirono le
forze armate della Rsi, per recuperare quei combattenti che i comandi germanici
si tenevano stretti .
Nessuno oserà negare che, immediatamente
dopo la paurosa catastrofe dell'8 settembre, per quanti decisero di non
cambiare fronte e di non sopportare, con la sconfitta, anche l’ignominia
e il disonore, insieme al disprezzo del nemico, non si trattava di fanatismo
politico, di costrizione, di "cartoline-precetto" o roba simile.
E’ certo probabile che taluno o talaltro, in uniforme, si trovasse
nella condizione di seguire la volontà del
reparto, dei commilitoni, di continuare a battersi contro gli Alleati,
che anche troppo evidentemente stavano guadagnando la campagna d’Italia.
Sì, questo è possibile. Ma questo non può riguardare,
in nessuna maniera, la situazione dei piloti, degli equipaggi di volo e
degli specialisti dell'Aviazione. Sarebbe bastato salire a bordo di un
velivolo militare e volarsene al Sud.
L'Aviazione della Rsi, che poi inquadrò 36.640
uomini tra piloti, ufficiali, sottufficiali, avieri e personale navigante
e a terra, immediatamente dopo l'8 settembre, nelle prime ore rovinose
e degradanti, trovò all'origine i suoi combattenti. Nomi che forse
non diranno nulla alle ultime generazioni - cinquantacinque anni dopo -
, ma che la storia dell’Aeronautica militare tricolore non ha dimenticato,
che la gloria ha accarezzato, che l'eroismo ha baciato. Botto, Visconti,
Drago, Marini, Bellagambi, Faggioni, Vizzotto, Marinoni e i loro compagni
(impossibile elencare centinaia di piloti da caccia, bombardieri e ricognitori)
non attesero la creazione delle forze armate della Rsi. Ripresero a battersi.
Sui loro velivoli, la coccarda tricolore.
Certo in maniera imprecisa, poiché esistono
solo dati indicativi e cifre sempre approssimate, è però
lecito indicare in circa 80-90 mila i combattenti, giovani volontari e
veterani di guerra già in armi nel giugno 1940, che subito dopo
l'8 settembre, e comunque prima della creazione della Repubblica Sociale
Italiana e la fondazione del nuovo esercito repubblicano, rifiutando la
resa e il capovolgimento repentino del fronte, decisero di continuare a
battersi a fianco dell'alleato tedesco. Date le condizioni catastrofiche
del Paese, l'avanzare delle armate anglo-americane, l'evidente strapotere
del nemico, il clima caotico del "tutti a casa", il numero di
chi si mostrò deciso a continuare il combattimento è da considerarsi
letteralmente stupefacente.
Al Sud, dove almeno mezzo milione di uomini era
ancora in uniforme e, sia pure malamente e disordinatamente, ancora inquadrato
nelle diverse unità, per trovare circa 6.000 volontari destinati
a formare il Corpo motorizzato del regio esercito (compresi i servizi e
il reparto sanitario) da mettere in campo a fianco degli Alleati, i più
validi e meno screditati comandanti dovettero compiere miracoli.
Una notazione aggiuntiva va fatta. Nessuno storico
o ricercatore attendibile, e ve ne furono, ancorché largamente imparziali,
come Roberto Battaglia di parte comunista (anche se a parer mio i termini
di "storico” e "comunista" sono antitetici), ha mai preso
per buone le pagine sulla resistenza di Pietro Longo. Questi, nel suo "Un
popolo alla macchia " pubblicato nel 1947, elenca nel campo della
guerriglia qualcosa come 114 divisioni di partigiani, forti di ben
471 brigate . Per la sola regione del Piemonte, Longo cita una dopo l'altra
196 brigate combattenti. Nel campo partigiano i termini di divisione e
brigata non hanno nessun preciso riferimento alle conosciute unità
militari di non importa quale esercito.
Normalmente una brigata partigiana poteva contare
su tre o quattro dozzine di uomini, talvolta un centinaio di armati. E
questo nel periodo conclusivo della guerra civile. Comunque, alla stregua
di Longo o di Secchia, un cronista buffone potrebbe dire che, subito dopo
l'8 settembre, basandosi sulla consistenza di un centinaio di armati ciascuna,
gli italiani che affiancarono i tedeschi, e comunque intendevano continuare
a battersi, formarono 600 brigate . Usando lo stesso metro, la pesante
divisione alpina "Monterosa" della Rsi, che con l'artiglieria
divisionale e i servizi superò numericamente, con i suoi 16.000
uomini, ogni altra grande unità in campo, allineò in battaglia
almeno 120 brigate combattenti.
Chiunque può capire che tutto questo è
supremamente stupido. Ragionando alla partigiana, il "Barbarigo",
ch'era solo un robusto battaglione della "Decima", mandando i
suoi circa 1.600 volontari sul fronte di Anzio, nella piana Pontina, non
allineò 16 fantomatiche brigate, ma combattenti decisi al sacrificio.
Ebbe, tra morti e feriti, circa 800 dei suoi effettivi. Insensato parlare
dell’ecatombe di 8 brigate italiane alla difesa di Roma.
Conclusione. Immediatamente dopo l'8 settembre,
prima della liberazione di Mussolini (del tutto sconosciuta la sua fine),
prima della nascita di un governo della Rsi, prima della creazione delle
forze armate repubblicane, nel disordine e nel caos generali, decine di
migliaia di italiani rifiutarono la resa. Ritennero, ogni ideologia esclusa
o accantonata, di scegliere quello che per loro era il campo dell'onore.
STORIA VERITÀ N. 10 Gennaio Febbraio 1998 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)